giovedì 20 giugno 2013

Politiche di remunerazione verso una maggiore trasparenza

I risultati del Say on Pay nel 2012 lasciano ben sperare per il futuro.
Il dissenso emerso genererà una reazione tra le società quotate e nelle prossime stagioni assembleari i risultati lo confermeranno.

Con l'introduzione nel TUF dell'art. 123-ter è stato stabilito che le società debbano predisporre ogni anno una relazione sulla remunerazione. La relazione, approvata dal consiglio di amministrazione, è sottoposta, per quanto riguarda la prima sezione contenente la politica della società in materia di remunerazione dei componenti degli organi di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche, nonché le procedure utilizzate per l'adozione e l'attuazione di tale politica, al voto dell'assemblea di approvazione del bilancio. Il 2012 è stato il primo anno in cui le politiche di remunerazione sono state sottoposte al voto degli azionisti e i risultati hanno dimostrato che l'Italia non è fanalino di coda in Europa. Anzi. Sotto diversi punti di vista la stagione assembleare del 2012 ha confermato la qualità del sistema di corporate governance del nostro paese, pur rimanendo irrisolte delle criticità. "Il sistema di corporate governance italiano credo sia tra i migliori al mondo" ha affermato subito Massimo Menchini, direttore corporate governance di Assogestioni, nel corso del suo intervento al Salone del Risparmio 2013, durante l'evento 'Il voto sulla politica in materia di remunerazione. Risultati ottenuti e risultati sperati…' che ha riunito gli interventi di Carmine Di Noia, vicedirettore generale di Assonime, Stefano Marini, Ceo corporate advisory, South Europe & Latin America di Georgeson, Massimo Belcredi, Ordinario di Finanza aziendale all'Università Cattolica del Sacro Cuore - Consigliere di amministrazione di ERG e Arca SGR, e Luigi Zingales, consigliere di amministrazione in Telecom Italia - Robert C. Mc Cormack Professor of Entrepreneurship and Finance - University of Chicago Booth School of Business. Durante la conferenza il livello informativo delle società italiane è stato elogiato da tutti i relatori che non hanno però omesso le criticità, sia dei risultati emersi nel primo anno di voto sulla politica in materia di remunerazione, sia del sistema di corporate governance in generale. Secondo Marini, ad esempio, è importante segnalare che nel 2012, se "si esclude il peso degli azionisti di maggioranza che in molte realtà italiane vizia i risultati dei voti, è evidente come un terzo degli investitori, soprattutto nei casi in cui si registra una forte presenza di istituzionali, abbia espresso un voto negativo alle politiche di remunerazione presentate". Voto che, ricordiamolo, non è vincolante ma comunque serve per esprimere un dissenso su un aspetto oggi considerato molto delicato. "Un dissenso che si è concentrato" ha continuato Marini "sull'impossibilità di ottenere la restituzione degli incentivi versati in caso di obiettivi aziendali non raggiunti, sulle metriche relative agli incentivi di breve periodo e, soprattutto, sulle indennità di fine rapporto". Vietato però pensare che l'Italia abbia ricevuto una bocciatura da parte degli investitori istituzionali. Come ha ricordato nel corso dell'evento Belcredi, non dobbiamo dimenticare che il 2012 era il primo anno e, se confrontiamo i risultati dei voti con gli altri paesi europei, "l'Italia è perfettamente in linea con gli altri mercati. Inoltre è dimostrato che il dissenso emerso al primo anno tende con il tempo a ridursi. Anche perché, è vero che il voto non è vincolante, ma una reazione la genera sempre, inevitabilmente". Una reazione che non determinerà una riduzione dei compensi, né uno spostamento del potere decisionale, ma piuttosto un "aumento della trasparenza", ha concluso Belcredi. Quest'ultimo è un elemento importante anche per Luigi Zingales che, pur ammettendo che l'Italia in termini di corporate governance sulla carta non ha nulla da invidiare ad altri paesi, ha ricordato come il nostro paese sia purtroppo noto per "le regole meravigliose", ma anche per "un'applicazione delle regole che lascia sempre un po' a desiderare". Per questo Zingales ha invitato tutti a tenere ben presente che il voto sulle politiche di remunerazione non risolve problemi come il conflitto di interesse oggi esistente quando il ceo è anche l'azionista di maggioranza. E non può risolvere il difficile compito di chi deve stabilire il livello di remunerazione di un ceo, sul quale incide anche la volatilità elevata dei mercati. "Il Say on Pay (così viene chiamato in inglese il voto sulle politiche di remunerazione, ndr) è dal mio punto di vista una forma di disclosure che deve essere sempre più semplice e sempre più comprensibile a tutti", ha affermato Zingales, che non dimentica il rischio che alcuni hanno più volte evidenziato nel dibattere sul say on pay: più aumenta la disclosure sulla remunerazione, più aumentano i vincoli, più i manager di qualità sceglieranno vie diverse. Ma Zingales, come anche gli altri relatori, condividono il pensiero espresso all'inizio dell'evento da Di Noia: "In Italia abbiamo una quantità di informazioni in materia di governance e di remunerazione molto abbondante. Abbiamo un sistema complesso di regole e di autodisciplina che sicuramente è molto interessante", la sua adeguata applicazione permetterà a tutti gli azionisti, in primis quelli istituzionali, di essere soggetti attivi nella valutazione delle politiche sulla remunerazione. E magari, aggiungiamo noi, eliminare quelle distorsioni ricordate da Zingales, come, ad esempio, la proliferazione dei ruoli manageriali nelle società quotate e quindi dei soggetti remunerati molto.
 
 

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